Ogni sera, quando finalmente mi rifugio nel mio letto e spengo il cellulare, ringrazio Dio per le cose vere che ho: un marito che mi è rimasto accanto, affrontando ogni giorno mille incombenze e sacrificando spesso il suo lavoro; un figlio meraviglioso, intelligente e pieno di vita, che a settembre inizierà le elementari.
E poi il sabato mattina, con il rituale del “grande bagno”.
Abbiamo adattato il bagno alle mie nuove necessità: ora una porta a soffietto mi permette di accedervi in autonomia. Questo risultato lo devo anche alla riabilitazione presso il centro Adelphi.
Alle 9, inizia la giornata: la badante mi aiuta ad alzarmi e mi accompagna in cucina per la colazione. Nel frattempo, nostro figlio chiama dal letto: “Papà, vieni?” Se mio marito non si muove subito, il piccolo corre nel mio letto e suona il campanello di emergenza che tengo vicino, giusto per richiamare l’attenzione!
Mentre la badante mi aggiorna sulle sue disavventure familiari in un flusso continuo di parole, io cerco di trovare le energie per affrontare la giornata e, spesso, devo ricorrere alla tachipirina per il mal di testa. Arriva Emanuele, che inizia subito a frugare nella mia borsa alla ricerca del “mostro” – alias il cellulare. Cerco di spiegargli che deve fare colazione, ma le mie parole sembrano volare via.
Intanto mio marito, ancora assonnato, cerca di preparare la colazione al piccolo: “Latte o yogurt?” Nessuna risposta. Alla fine decide lui: latte di capra, pane, burro e marmellata – niente merendine industriali. Inizia il solito balletto per convincerlo a mangiare qualcosa, tra sbuffi e richieste di attenzioni (giuste, vista la sua età!).
Il bagno: una vera impresa
La badante, intanto, racconta le stesse storie anche a mio marito. Io inizio a desiderare solo una cosa: la mia doccia settimanale.
Finalmente, reclamo il mio spazio e mi dirigo verso il bagno. Aspetto paziente nella carrozzina la preparazione di tutto l’occorrente. Entriamo in bagno e annunciamo: “Doccia in corso, il bagno sarà occupato almeno per un’ora!”. Ovviamente, le urgenze familiari non tardano mai ad arrivare.
Grazie al tripode, raggiungo la sedia girevole sopra la vasca, mi siedo e, tra il freddo e la confusione, comincia il rito: lavaggio capelli, shampoo, asciugamano-turbante, docciacrema, scrub e risciacquo – sempre con il getto della doccia diretto su di me come se fossi una pianta da innaffiare. Poi arriva il momento dell’asciugatura: prima con un telo rosa amatissimo dalla badante, poi con un normale asciugamano. Infine, il mio momento preferito: l’olio ayurvedico idratante che mi restituisce energia e benessere.
La fragile normalità
Quando esco, i miei pochi capelli bianchi vengono asciugati con il phon: una fase che odio per via delle cicatrici lasciate dagli interventi. Resisto, infine mi preparo un tè caldo per ritrovare calore e zuccheri. La badante, sempre sorridente, mi aiuta a indossare il tutore per la mano, la “tortura cinese” che ora tollero meglio grazie alle infiltrazioni di tossina botulinica.
Alle tredici, mi saluta. La domenica arriva un’assistente più dolce e tranquilla, che mi permette di ricaricare le energie.
La mattinata di ordinaria follia finisce sempre con la sensazione di essere stata in piazza Vittorio, al mercato, tanta è la confusione. La mia badante è affezionata e attenta, a volte travolgente, e mi ricorda il mio passato frenetico quando lavoravo. Ma ancora mi domando: qual è il senso di tutta questa corsa? Ne vale davvero la pena?
Non lo so. Io, per ora, resto in fondo alla fila.